È del 74 per cento il tasso di stagionalità annuale a Lecce e provincia. Si tratta di un’elaborazione del data analyst Davide Stasi, responsabile studi dell’Osservatorio Economico Aforisma e cultore della materia in Economia politica all’UniSalento.
La percentuale, calcolata in base ai dati della Destination management system (Dms) della Regione Puglia, rappresenta, senza dubbio, un buon indicatore per poter misurare il grado di concentrazione della distribuzione annuale delle presenze nel Salento.
“Per stagionalità – spiega Stasi – si intende la sistematica e ciclica concentrazione delle presenze turistiche in un determinato periodo dell’anno. Il turismo salentino resta così fortemente caratterizzato da questo fenomeno, con conseguenze molto marcate nella dinamica dell’occupazione, ma non solo. Gli effetti negativi della stagionalità sono evidenti su tre fronti: occupazione, investimenti ed ambiente. Riguardo a quest’ultimo aspetto la presenza di un elevato numero di turisti racchiusa in pochi mesi dell’anno provoca una maggiore pressione sulle risorse ambientali, in termini di maggiori rifiuti, inquinanti e consumo delle risorse naturali. Il tasso di stagionalità annuale – spiega il data analyst – si ricava dal rapporto tra le presenze massime registrate in un mese e quelle minime, ovvero dal rapporto tra le presenze massime registrate in agosto rispetto a quelle minime registrate in gennaio. Più il tasso è alto, più vuol dire che i flussi turistici sono concentrati in pochi mesi. Non si riesce, infatti, a destagionalizzare un settore che dà lavoro per pochi mesi all’anno e non garantisce la necessaria continuità lavorativa agli stagionali, ormai sempre più precari. Oltre ad analizzare l’andamento degli arrivi e delle presenze, che può darci importanti informazioni sulla tendenza di medio-lungo periodo, la distribuzione mensile delle presenze è utile per comprendere l’esistenza della forte stagionalità in provincia di Lecce nonché la relativa dimensione. Inoltre, nonostante l’aumento dei flussi turistici provenienti dall’estero, continua a diminuire la permanenza dei vacanzieri che, in media, non pernottano per più di quattro giorni di fila nella struttura ricettiva. Quest’ultimo dato può ritenersi più che attendibile in quanto copre la quasi totalità delle strutture alberghiere, extra-alberghiere e delle locazioni turistiche (il tasso di trasmissione dei dati da parte delle strutture ricettive è attorno all’86 per cento). I profili stagionali tipici – fa notare Stasi – sono, sostanzialmente, quattro: una sola stagione estiva (o invernale) ad elevata intensità; una seconda stagione primaverile (o autunnale) di “spalla” all’alta stagione; una doppia stagione estiva ed invernale; un’assenza di stagionalità, come nel caso di Roma e Firenze che sono visitate di continuo, per tutto l’anno. Esistono, di conseguenza, turismi monostagionali, bistagionali, non stagionali o delle stagioni intermedie. Il profilo turistico salentino è di tipo monostagionale perché prevalentemente balneare”.
Analizzare il fenomeno attraverso la concentrazione relativa nei mesi estivi rileva quanto sia polarizzata la distribuzione, confrontando la quota delle presenze del cosiddetto picco, in questo caso giugno-luglio-agosto-settembre, con la quota delle presenze delle cosiddette code, intese come i mesi primaverili e autunnali (marzo, aprile, maggio ed ottobre) e i mesi invernali (novembre, dicembre, gennaio e febbraio). Tra gli indicatori analitici, il coefficiente di Gini è tra i più utilizzati per misurare il grado di disuguaglianza delle presenze (espresse in modalità relativa e cumulata) tra una distribuzione omogenea e la curva di Lorenz, ovvero la distribuzione delle presenze relative cumulate della destinazione specifica.
Dall’analisi dei dati emerge che gli italiani sono tendenzialmente più stagionali rispetto agli stranieri: questo risulta prevalente per le regioni balneari del Sud Italia. Analizzando i flussi nello specifico per provenienza del visitatore, si ha una diversa classifica delle regioni e delle province per grado di stagionalità, anche se prevalgono le regioni e le province balneari.
Anche se ci sono tendenze diverse nei trend dei turisti stranieri, le variabili responsabili della concentrazione delle presenze sono principalmente due: il meteo e il calendario – precisa Stasi – Le condizioni metereologiche positive in primis sono un presupposto fondamentale per la pratica di alcuni tipi di turismo: è evidente che il motivo principale che spinge i turisti nelle destinazioni balneari soltanto nei quattro mesi estivi è dovuto alle alte temperature; così come le basse temperature e le nevicate spingono i turisti verso le destinazioni montane nei mesi invernali”.