Perché Halloween a Lecce?
di Antonio Bruno
Ogni anno, a fine ottobre, Lecce si riempie di morti che camminano.
Non quelli veri, che già da tempo preferiscono starsene in pace, ma quelli finti — padri, madri e bambini con la faccia impiastricciata, le occhiaie scure e una zucca tra le mani. I cattolici, prima di commemorare i defunti, si travestono da defunti. Forse per fare le prove generali, o per esorcizzare l’inevitabile.
Camminano tra le vie barocche, tra le candele e le zucche di plastica made in China, e chiedono “dolcetto o scherzetto?”. Pensate che al Museo Castromediano non c’è più la disponibilità di un posto da giorni. Festeggiano Halloween anche le mie colleghe cantanti dell’Accademia Art of singing di Elisabetta Guido con lo spettacolo a cura di Francesca Montagna, con la collaborazione di Simone Orlando ma inutile sperare di vederlo per chi non ha già il biglietto perché è SOLD OUT. Un tempo si diceva “o la borsa o la vita”, ma oggi si preferisce non scegliere: si prende un biscotto e si resta vivi, almeno fino a domani.
Negli oratori, i più devoti si tengono lontani. Dopo anni di invettive, hanno capito che non c’è anatema che tenga contro un bambino con il cappellino da pipistrello. Si scandalizzano in silenzio, con discrezione cristiana, come chi assiste a un rito che non riconosce più ma non ha il coraggio di interrompere.
Così Lecce, e l’Italia intera, festeggia Halloween con la compostezza di chi sa che non è la sua festa ma non vuole fare brutta figura. Forse è questa la nostra nuova tradizione: travestirci da qualcun altro per non dover essere noi stessi.