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domenica, Settembre 8, 2024
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L’addio amaro di Luciano Benetton

Mi sono accorto che i conti non quadravano, poi lo choc: un buco da 100 milioni. Sono stato tradito

La denuncia: le verità dei bilanci nascosti dai manager. «Da parte mia è stato grave essermi fidato.  Ora bisogna ritrovare l’energia migliore»

La voce di Luciano Benetton è ferma. Ha sempre avuto uno sguardo positivo. Negli Anni Sessanta, ormai dimenticati, in quelle zone agricole del Veneto, diciamocelo «depresse», la voglia di portare lavoro buono fu alla base dello sviluppo della sua azienda. Persino il sopportare la tragedia del Ponte Morandi sebbene il «signor Luciano» come lo hanno sempre chiamato nel gruppo, avesse da tempo lasciato (dal 2012) qualsiasi attività in azienda per dedicarsi ai suoi progetti personali come «Imago Mundi» che ha riunito quasi 30 mila artisti, l’aveva vissuta con la «responsabilità» di chi sa di esserlo sia per quello che fai, sia per quello che non fai.

Ma in queste settimane nelle sue parole prevale di nuovo l’amarezza, quella di un uomo classe 1935. Amarezza profonda. Si appresta a lasciare nei giorni del suo compleanno quella Benetton che aveva creato. Dalla quale tutto era nato. I 5 mila negozi nel mondo, gli imprenditori che con lui avevano aperto luoghi di identità non solo scaffali ricolmi di maglioni colorati. Sessant’anni dopo, in quel Veneto dove non era stato facile creare posti di lavoro più confortevoli delle case, con l’aria condizionata, facendo il contrario di quello che accadeva nelle fabbriche accanto, si consumerà un addio. Definitivo stavolta.

Andiamo con ordine. Cosa sta succedendo, perché questo addio a Benetton? È la sua azienda…

«In sintesi, mi sono fidato e ho sbagliato. Sono stato tradito nel vero senso della parola. Qualche mese fa ho capito che c’era qualche cosa che non andava. Che la fotografia del gruppo che ci ripetevano nei consigli di amministrazione i vertici manageriali non era reale».

Sono accuse pesanti…«Per fortuna avevamo deciso di ritirare da tempo dalla Borsa la Benetton. E quindi i rischi imprenditoriali erano e sono tutti in capo alla famiglia. Ma ancora una volta per la mia storia, per quello che significa la società, per i dipendenti, le famiglie, i tanti che entrano fiduciosi nei negozi dalla Moldavia a Parigi da Nuova Delhi a Los Angeles, prima di lasciare il gruppo intendo spiegare con la trasparenza che mi caratterizza cosa è successo senza per questo sottrarmi alle mie responsabilità».

Ma cosa è accaduto di così grave per arrivare al punto di lasciare tutto?
«Facciamo un passo indietro. Sono uscito dall’azienda nel 2012 con la società in salute, con un fatturato di 2 miliardi e in utile, anche se la logica dice che si può sempre fare meglio. Solo dopo una forte insistenza da parte di mio fratello Gilberto ho deciso di rientrare nel 2018, poco prima della sua scomparsa. Edizione non era riuscita a trovare una compagine manageriale di qualità. La società perdeva parecchio. Appena rientrato cerco di risolvere gli errori più evidenti, verso la fine del 2019 mi suggeriscono una candidatura per il ruolo di amministratore delegato».

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