Il mondo perduto dei The Cure: “Songs of a Lost Word”

Il mondo perduto dei The Cure: “Songs of a Lost Word”

Il mondo perduto dei The Cure: “Song of a Lost Word”

I The Cure sono tornati. Proprio così, dopo 16 anni, sono tornati, e non perché la loro traccia non fosse presente, ma per sottolineare la loro grandezza. Una band generazionale che rientra in scena con un disco fuori dal tempo, dal mercato, e dal comune mercato musicale, a sottolineare quanto il loro mondo sia diverso. “Songs of A Lost Word” ci trascinano proprio dentro quel mondo andato, che si riavvolge e si sposta avanti.

I The Cure non passano mai: “Songs of a Lost Word”

“This is the end of every song that we sing” è il grido da cui parte tutto. Il Big Bang del nuovo e attesissimo album dei The Cure è esattamente dentro questo finale di poesia di Ernest Dowson.

Alone, primo brano del disco apre la strada, ricordane quella vecchia, con continui rimandi ai brani dei dischi precedenti, lo delinea, lo tratteggia già dal tappetto di tastiere e chitarre iniziale e lo disegna, con la voce di Smith che entra dopo tre minuti e spezza in due con il grido “This is the end of every song that we sing”. Un viaggio nella passeggiata nelle vie della foresta dei The Cure porta a “The Fragile Things”. Piano, basso, e un Simon Gallup che non lascia tregua, che trascina dentro l’isolato spazio in cui Smith metto a nudo la fragilità, la sua, quella di ognuno. “A Fragile Things” è una canzone ispirata alle difficoltà che incontriamo nello scegliere tra esigenze che si escludono a vicenda e da come affrontiamo il futile rimpianto che può seguire queste scelte, per quanto siamo sicuri di aver fatto le scelte giuste… spesso può essere molto difficile essere la persona che si ha davvero bisogno di essere” – ha raccontato il leader della band.

Every time you kiss me, I could cry she saidDon’t tell me how you miss meI could die tonight of a broken heartThis loneliness will changeAnd we feel too far apartWe know that we’re too far apartEvery time that we’re apart

Al centro, però, tra i due brani, c’è uno Smith ancor più sentimentale. Introduzioni di archi, e una melanconica ballad old style, “And Nothing in Forever” in cui il leader muove tutto il suo dolore per una promessa mai mantenuta, uno stare insieme fino alla fine mai arrivato.

The my world has grown old
And nothing is forever

Con il velo di melanconia, si entra dentro Warsong, un’uscita dal seminato, l’atmosfera che si fa più cupa, l’uscita dalla nebbia nel buio della notte; chitarra distorta, rabbia, rabbia, e ancora rabbia, quel rock del lamento, batteria come bombe dall’alto, una guerra contro i demoni della realtà, interiori ed esteriori.

But no way out of this
No way for us to find a way to peace
We never found before
However we regret
All we will ever know
Is bitter ends
For we are born to war

Si va avanti, verso Drone: Nodrone, nuovamente con chitarre distorte e batterie predominanti, nel brano più rock del disco, in una furia verso il mondo moderno e della sua sorveglianza costante. Spezzare le catene per finire sempre più giù.

Un’elegia della solitudine, un lungo camminare tra le cuciture della storia della band inglese e del lento e incessante proseguire del tempo, che tanto ha tolto a Robert Smith, segnato dalla perdita del suo fratello maggiore. Proprio a questo, il leader della band, dedica la malinconica ballad old style “I can never say goodbye” che ci lascia immergere nel ricordo costante e nella carezza di addio, per quella straziante sicurezza di vivere in un mondo che va avanti con la consapevolezza dell’ineluttabilità del suo correre.

From out the cool November nightSomething wicked this way comesTo steal away my brother’s lifeSomething wicked this way comesI could never say goodbye

In All I Ever Am si esce dalla malinconia e si rientra nell’altra sezione che ha sempre contraddistinto il gruppo inglese: la catarsi. È brano ti avvolge, con il classico stile The Cure, prima di entrare nel solenne finale con Endsong. Le cuciture della loro storia vengono lacerate tutte nei sei minuti di strumentale, e nel continuo rimando al precedente, sino nell’ingresso della voce di Smith a tagliare in due con il suo “It’s all gone, it’s all gone”.

I The Cure non hanno voglia di andare e restano aggrappati al loro mondo. “It’s all gone, it’s all gone”, e forse è vero, ma non di certo per loro.