Domenica 17 dicembre – il Conservatorio di Musica “Tito Schipa” festeggia 90 anni con un concerto al Teatro Politeama Greco di Lecce

Domenica 17 dicembre – il Conservatorio di Musica “Tito Schipa” festeggia 90 anni con un concerto al Teatro Politeama Greco di Lecce


Domenica 17 dicembre alle 18:30 (posti già esauriti) il Teatro Politeama Greco di Lecce ospita un concerto ideato per celebrare e festeggiare i 90 anni del Conservatorio di Musica “Tito Schipa” di Lecce. Un appuntamento davvero speciale che inaugura il nuovo anno accademico dell’Istituto di Alta Formazione del MUR (settore Alta Formazione Artistica e Musicale italiana) nato come Liceo musicale salentino con Statuto approvato con decreto del Prefetto di Lecce del 21 novembre 1933. Per l’occasione, l’Orchestra Sinfonica del Conservatorio, formata da oltre ottanta elementi tra studentesse e studenti, docenti e alcuni ex allievi, e i circa 100 interpreti de La Chorus (Lucania & Apulia Chorus) e del Coro di voci Bianche Juvenes Cantores (Maestro dei cori Luigi Leo), proporranno la cantata scenica Carmina Burana composta da Carl Orff. Il concerto, con la direzione del Maestro Michele Nitti, ospiterà anche i solisti Claudia Urru (soprano), Vincenzo Franchini (controtenore) e Guido Dazzini (baritono). Immagine cardinale di questa cantata teatrale è la ruota della fortuna, che dispensa ora la buona, ora la cattiva sorte. È la parabola della vita umana soggetta a continui cambiamenti: per questo motivo il coro fa appello alla dea della fortuna («O Fortuna, velut luna»), che introduce e conclude la serie dei canti profani. La serata, condotta dal giornalista Marcello Favale, è organizzata con il patrocinio di Regione PugliaProvincia di LecceComune di LecceCamera di Commercio di Lecce e, grazie alla collaborazione con Confindustria Lecce, con il sostegno di BBC Terra d’OtrantoTrans Adriatic PipelineSud GasArmaferIlmea.

«I Carmina Burana sono la prima opera del Trittico dei Trionfi completato dai Catulli Carmina (Ludi Scaenici) e dal Trionfo di Afrodite. Il compositore tedesco Carl Orff venne a conoscenza di 325 testi poetici medievali in latino, in tedesco medio-alto e in francese, redatti fra il XII e il XIII secolo e contenuti nel manoscritto Monacensis Latinus 1660, custodito dal 1803 nella Biblioteca Nazionale di Monaco di Baviera», scrive la studentessa Maria Grazia Carrozzo nelle note di sala. «Furono chiamati “Burana” in quanto provenienti dall’abbazia bavarese di Benediktbeuern (Bura Sancti Benedicti). Erano giunti a Monaco in seguito all’editto napoleonico che decretava la secolarizzazione dei monasteri. Orff ne rimase così affascinato che compose di getto i primi due dei ventiquattro brani che costituirono il lavoro finale. Orff collaborò con il filologo Michel Hofmann per quanto riguarda la scelta dei carmina: prevalentemente di carattere amoroso e volti alla parodia della tradizione dei Minnesänger. La stesura dei Carmina Burana coprì il biennio dal 1935 all’agosto del 1936. La diffusione di testi è da attribuirsi ai “clerici vagantes”, cioè a studenti girovaghi che vivevano ai margini della società, spostandosi in Europa per raggiungere le varie sedi delle neonate università. Dal punto di vista musicale l’opera è caratterizzata dalla costante presenza ritmica compressa in grandi ostinati».

«Il novantesimo compleanno del Conservatorio, nato per la generosa lungimiranza del celebre ”usignolo di Lecce” e di tanti cittadini persuasi che “la musica sia pane non solo per l’anima”, ha ottimi motivi per essere festeggiato», sottolinea il presidente Luigi Puzzovio. «Questi novant’anni sono stati caratterizzati da un’intensa attività sul territorio e per il territorio», precisa il direttore Corrado De Bernart. «Il “Tito Schipa” ha formato varie generazioni di musicisti ed ampiamente arricchito il contesto culturale ed artistico del Salento, affiancando all’attività didattico-accademica una ricca e variegata produzione artistica».

IL CONSERVATORIO DI MUSICA TITO SCHIPA
A cura di Luisa Cosi
Docente di Storia della musica


“Far sorgere in Lecce un Istituto musicale, era da anni necessità intesa dall’intera provincia salentina: e il Gr. Uff. Tito Schipa, accogliendo questa vivissima aspirazione della terra natale, nell’estate del 1933 s’impegnava a donarle una sede ex novo”. Come sottolineato da una memoria ministeriale dell’epoca, la promessa del celebre tenore Tito Schipa (poi sostanziata in 200mila lire) fu la chiave di volta perché, dopo numerosi tentativi, a Lecce nascesse l’auspicato Liceo Musicale salentino. Infatti nell’autunno del 1933 fu subito operativo un consorzio fra Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa (segretario Antonio Costa), Amministrazione Provinciale (preside Nicola Lopez y Royo) e Amministrazione Comunale (podestà Michele Bozzi Colonna), che s’impegnava a sostenere negli anni almeno cinque corsi musicali (canto, pianoforte, violino e viola, violoncello e contrabasso, tromba e trombone), oltre che a dotare la nuova Istituzione di Biblioteca, arredi e strumentario idonei. Stringente il tabellino di marcia – regolato dal prefetto Salvatore Strano e dai musicologi salentini Vito Raeli e Renzo d’Andrea: l’idea era di ottenere al più presto il pareggiamento, ovvero il riconoscimento (e il finanziamento) del Ministero dell’Educazione Nazionale. In attesa che il nuovo edificio fosse costruito lungo viale Taranto – su terreno comunale, con progetto modernista dell’ingegnere Giorgio Bernardini e cromatica armonia di carparo, pietra leccese e pietra di Fasano – le lezioni cominciarono in varie sedi provvisorie, con i primi cinquantadue allievi (e attività ben distinta fra maschi e femmine). La direzione, con la consulenza dei massimi musicisti italiani del tempo, fu affidata al Maestro Italo delle Cese, strappato al Liceo musicale “Niccolò Piccinni” di Bari, che era stato fondato appena sette anni prima. L’inaugurazione della sede leccese avvenne nel 1937, con squillante parata lungo viale Taranto: subito furono operative dieci aule attrezzate, Biblioteca (corroborata da importanti donativi di musicofili locali) e ambienti per l’amministrazione; a seguire sarebbe venuta l’intitolazione al generoso Tito Schipa e il completamento della bella sala dei concerti al piano superiore. E nel 1939 arriva l’atteso pareggiamento. Superato il trauma bellico (il Liceo fu anche occupato dalle Forze alleate), il “Tito Schipa” cresce rapidamente per numeri e qualità, così da divenire Conservatorio nel 1970 ed essere quindi assimilato nel 2002 al sistema universitario. L’Istituzione oggi consta di oltre 800 studenti e 130 docenti, con 32 indirizzi per il percorso accademico di I e II livello. Agli insegnamenti classici (con punte di eccellenza riconosciute a livello internazionale) si sono aggiunti via via percorsi formativi orientati a nuovi linguaggi (jazz, pop-rock, musiche tradizionali) e tecnologie (musica elettronica, tecnici del suono). La sua Biblioteca è punto di riferimento anche per la ricerca musicologica, continuando ad accogliere importanti fondi storici, che testimoniano la secolare tradizione musicale del Mezzogiorno.

NOTE DI SALA
A cura di Maria Grazia Carrozzo
Studentessa del Corso di Storia delle Forme e dei Repertori III (professor Alessandro Macchia)


I Carmina Burana costituiscono la prima opera di una trilogia intitolata Trittico dei Trionfi. Le altre due composizioni rispondono ai titoli di Catulli Carmina (Ludi Scaenici) e di Trionfo di Afrodite. Il compositore tedesco Carl Orff venne a conoscenza di 325 testi poetici medievali in latino, in tedesco medio-alto e in francese, redatti fra il XII e il XIII secolo e contenuti nel manoscritto Monacensis Latinus 1660, custodito dal 1803 nella Biblioteca Nazionale di Monaco di Baviera. Furono chiamati “Burana” in quanto provenienti dall’abbazia bavarese di Benediktbeuern (Bura Sancti Benedicti). Erano giunti a Monaco in seguito all’editto napoleonico che decretava la secolarizzazione dei monasteri. Orff ne rimase così affascinato che compose di getto i primi due dei ventiquattro brani che costituirono il lavoro finale. Orff collaborò con il filologo Michel Hofmann per quanto riguarda la scelta dei carmina: prevalentemente di carattere amoroso e volti alla parodia della tradizione dei Minnesänger. La stesura dei Carmina Burana coprì un biennio: dal 1935 all’agosto del 1936. La diffusione di testi come quelli contenuti nei Carmina Burana è da attribuirsi ai “clerici vagantes”, cioè a studenti girovaghi che vivevano ai margini della società, spostandosi in Europa per raggiungere le varie sedi delle neonate università. Immagine cardinale di questa cantata teatrale è la ruota della fortuna, che dispensa ora la buona, ora la cattiva sorte. È la parabola della vita umana soggetta a continui cambiamenti: per questo motivo il coro fa appello alla dea della fortuna («O Fortuna, velut luna»), che introduce e conclude la serie dei canti profani. La rappresentazione si divide in sei sezioni: su tutto v’è il rapporto dell’uomo con la natura, in particolare con il risveglio primaverile, e le relazioni amorose. Dal punto di vista musicale l’opera è caratterizzata dalla costante presenza ritmica compressa in grandi ostinati. Spesso il tempo varia da una battuta all’altra dello stesso brano e questi cambiamenti abbinati alle cesure nascondono la complessità dell’opera. Alcune delle arie solistiche, inoltre, pongono sfide audaci per i cantanti: l’unica aria per tenore solista («Olim lacus colueram») deve essere cantata quasi interamente in falsetto per dimostrare la sofferenza del personaggio. Le arie per baritono spesso richiedono note acute, che non si trovano comunemente nel repertorio, e parti di aria devono essere cantate in falsetto: un unicum nel repertorio baritonale. Inoltre, l’aria per soprano solo («Dulcissime») esige note estremamente acute e Orff aveva espressamente destinato questo pezzo a un soprano lirico, non ad uno di coloratura, in modo che le tensioni musicali fossero più evidenti. L’armonia intensamente cromatica del tardo romanticismo lascia il posto, nei Carmina Burana, a un linguaggio di tipo modale. C’è altresì una rivisitazione del canto gregoriano e della canzone strofica medievale (la litania per esempio). La scrittura corale è prevalentemente declamatoria. I singoli gruppi strumentali risultano compressi in ampie masse sonore. Le percussioni accentuano i ritmi ostinati ed energici della partitura. Il successo riscosso dai Carmina Burana a Francoforte nel giugno 1937 fu fortemente contrastato per via della stroncatura dell’autorevole Völkischer Beobachter: Herbert Gerigk, capofila della musicologia antisemita e seguace delle teorie razziste di Alfred Rosenberg, parlò nella sua ampia recensione di “Jazzstimmung” (“Linguaggio Jazz”) e deplorò vivamente l’uso della lingua latina e un «malinteso ritorno agli elementi originari del fare musica», diffidando i compositori tedeschi dal seguire una corrente che a suo modo di vedere non costituiva più un problema di natura estetica ma di Weltanschauung. L’effetto deterrente della recensione di Gerigk fece sì che i Carmina Burana non fossero più eseguiti fino al 1940. La prima rappresentazione in Italia avvenne nel 1942 al Teatro alla Scala di Milano ed ebbe un grandissimo successo.